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ho una ragazza dentro il frigo, io la amo senza scongelarla *

impariamo a costruire
alibi
in attesa di usarli
e a disegnare abiti
per indossarli
nelle occasioni
che contano
assieme a una maschera
in abbinamento
il manuale
delle belle parole
quelle che non fanno male
disinnescate
parlare del meteo
per avere qualcosa
da dire
emozioni stampate in serie
tutto il resto
da trattenere
nascondere sotto i tappeti
del nostro voler
sembrare “normali”
accettati
accecati
dal luccichio sfavillante
moneta sonante
invidiare la ricchezza
quasi come una religione
una direzione forzata
un’ossessione morbosa
accumulare l’inutile
poi buttare via tutto
e comprare altro
e altro ancora
circolo vizioso
che si autoalimenta
fino all’autodistruzione
non sentirsi mai
all’altezza
ma non sapere mai di cosa

* Vivere fuggendo – Il pan del diavolo

memory is a stranger, history is for fools *

forse
é più semplice
odiare
perché si può
costruire in serie
senza sfumature

* Perfect sense (part 1) – Roger Waters

non sanno se ridere o piangere, batton le mani *

come quando cerchi risposte
e trovi, solo, altre domande
quando finisce la festa dell’amore
e si torna alla vita normale
senza cioccolatini, fiori
e cene da regalare
l’abitudine che uccide la passione
e tutto quello che poi
il prossimo anno proveremo
a farci perdonare
fare un giro completo
e ritornare a capo
la fine che coincide con l’inizio
e tu non sai più distinguere
cosa fa più male
se questa delusione
oppure la disperata rassegnazione
di sentirsi piccoli e indifesi
in un universo in espansione
e un’umanità, sempre più,
verso l’estinzione

* Far finta di essre sani – Giorgio Gaber

distanze, ricorrenze, coincidenze

pensavo a lettere d’amore postume
all’importanza della puntualità
di certi gesti e certe parole
inseguire qualcosa fino ad afferrarlo
e poi lasciarlo andare
come si faceva con gli uccellini da bambini
non sono riuscito ad esternare ogni cosa
perché, forse, avevo paura
di essere ancora deluso
sono stato solo un capriccio
una scommessa da film americano
credere al matrimonio in chiesa
vuol dire, pure, arrivarci vergini,
mia cara
erano solo puttanate
solo un’altra scusa
che andava ad unirsi alle altre:
distanze, ricorrenze, coincidenze
priorità non capite
momenti non vissuti
sogni infranti sotto casa
azzerare ogni cosa
ricominciare da capo
e ancora una volta scoprire
che fa male questa cosa
di sigillare i ricordi in uno scatolone
con scritto un nome

ma niente non ce la faccio mi dispiace, oggi mi state tutti sul cazzo *

Io non so più cosa mi aspetto da questo paese. Non so più se vale la pena aspettarsi qualcosa e poi puntualmente farsi deludere. Sai che potrebbe essere più semplice se solo riuscissi a dividere questo peso in due parti uguali e dimezzare la fatica. Ma non credo più nemmeno in questo. All’anima gemella. All’anima de li mortacci tua, e nostri. Per cosa poi? Per continuare a tirare avanti quest’idea della famiglia in un certo modo, in una direzione, con lo stesso senso di marcia. Passaggio obbligato per ogni essere umano, per essere accettato socialmente o per lo meno per essere considerato credibile tra tutti, tra gli idioti. Di questo stiamo parlando: di idioti. E di pezzi di merda che speculano sulle disgrazie e sulla vita delle persone, facendone di questo un progetto politico. Portando avanti, rievocandoli da un passato scuro, temi come l’odio, il razzismo, la supremazia occidentale, il sovranismo nazionale, i muri di recinzione. Non ci sono più le mezze stagioni, non sono più nemmeno le stagioni, ognuno faccia come cazzo gli pare. Dove andremo a finire quando non avremo più niente da smantellare? Non insegnate ai bambini la vostra morale, cantava Gaber in una canzone e quanto cazzo aveva ragione.

* Canta che ti passa – Zen Circus

tonno in scatola

Io vorrei veramente scrivere un libro, ma non come quelli che dicono: ho fatto talmente tante cose nella mia vita che potrei scrivere un libro. Non in questo senso, non con questo tono di vanto. Il problema della cosa, cioè del non riuscire a farlo, sta semplicemente nel fatto di essere troppo critici con se stessi. Io non credo di avere una vita interessante, una vita straordinaria da lasciare a bocca aperta gli spettatori o i lettori. Ho avuto una vita “normale”, la sto ancora avendo, con tutti gli alti e bassi. In perfetta linea media con la gran parte di quelli della mia età. Quindi, io non voglio raccontare la mia storia, non voglio fare il protagonista, vorrei mettere in fila parola dopo parola, per costruire una narrazione generazionale, in maniera forse meno razionale e più passionale, di una storia comune a tanti, che sta caratterizzando i tempi che corrono, che ci lascia l’amaro in bocca, che ci fa disgustare, sentirci umiliati, maltrattati, da un paese e una classe dirigente, e da quelle che si sono succedute, che non hanno fatto altro se non, magari inconsapevolmente, colpire ripetutamente e costantemente il futuro, fino a renderlo precario. Fino a rendere precari tutti quelli che ne avrebbero fatto parte. Compreso me. Compreso milioni di ragazzi e ragazzi, ormai meno giovani di quanto vogliono farci credere di essere, a cui hanno tolto orizzonti da guardare e sogni da inseguire. Senza nessuna pietà. La generazione dei nostri genitori probabilmente credeva di fare il meglio possibile, prendendo in prestito, senza prospettiva di pagarlo o di restituirlo, un presente che non poteva minimamente permettersi. Tutto e subito e chi verrà dopo che si fotta. Senza un minimo di lungimiranza, senza nessuna prospettiva. Ciecamente e avidamente, nascosti dietro al dito del solito luogo comune di farlo per i propri figli, quando proprio a quei figli, alla fine, hanno tolto gran parte delle possibilità. Non serve un genio o un grande statista per analizzare la situazione. Se ci ritroviamo in un paese in cui la disoccupazione giovanile dilaga e sembra non accennare a fermarsi. In un paese in cui ancora fino a quarant’anni sei ancora considerato giovane. Un paese che ti costringe a fuggire se hai un minimo di ambizione, ma soprattutto talento e non hai un culo da leccare, un piede pronto a darti la giusta pedata per farti entrare nei posti che contano. Un paese in cui la cultura è vista più come un peso, un costo, piuttosto che una risorsa, necessaria e indispensabile. Tanto noi abbiamo i monumenti, a cosa cazzo ci serve la cultura. Un paese, vorrei dire fermo, ma invece mi accorgo che torna indietro, a prendere il peggio, però. Un paese che da secoli si culla sugli allori dei bei tempi che furono, genitore di uomini che hanno fatto grandi cose, in tutti le declinazioni possibili. E ora? Questo genitore ripudia e umilia questi nuovi figli, che potrebbero, avendone occasione, riportare un minimo di quel prestigio. Oggi festeggiamo i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, con tanto orgoglio, promuovendo mostre e quant’altro, ma cosa facciamo ogni giorno a tutti quei possibili Leonardo da Vinci, se non dirgli: le cose funzionano in questo modo. Quella è la porta, buona fortuna. Non ci pensiamo a queste cose. Non ci pensiamo perché non riusciamo ad avere la giusta distanza, per poterla guardare in maniera lucida. E non possiamo permetterci nemmeno di scendere in piazza e protestare o cercare di fare una sorta di rivoluzione, ricambio generazionale con conseguente ricambio di pensiero. Per una questione di sopravvivenza. La sopravvivenza ci fotte, questa è la verità. Siamo precipitati di nuovo alla base della piramide dei bisogni di Maslow. Ho studiato economia, ogni tanto la rispolvero giusto per far capire di non aver sprecato tempo. Non possiamo permetterci di puntare al vertice, non possiamo pensare alla nostra autorealizzazione, se prima non riusciamo a soddisfare quei bisogni primari, come per esempio nutrirci. Quindi la gran parte di questi giovani, di questi figli che potrebbero fare la differenza, preferisce andare via, oppure adattarsi per resistere, senza ambizioni, lasciando i posti di opinion leader, di capopopolo a chi può permetterselo, con risultati che sono ben visibili. Abbiamo una classe dirigente per la maggior parte vecchia e autoreferenziale, che non fa altro che autoalimentarsi e autoproclamarsi. Da quasi vent’anni, cioè da quando ho iniziato a votare, non faccio altro che vedere le stesse facce nei posti più prestigiosi. Poi arrivano queste nuove leve e tu pensi che possa essere la volta buona per, almeno, una leggera scossa. Ma poi quasi quasi rimpiangi i vecchi. La politica che diventa semplicemente un mestiere e non un mezzo per poter fare qualcosa, veramente, per il proprio paese. Un modo di sfuggire alla disoccupazione, come un tempo si diceva per le forze dell’ordine. Non voglio fare un saggio politico. Non voglio fare demagogia o populismo, che già bastano gli slogan di questi giovani al potere che avrebbero dovuto rivoltare tutto come una scatoletta di tonno, invece, nella loro inettitudine si sono tagliati con la linguetta, senza riuscire nemmeno ad aprirla.

su una pila di sedie

seduto su una pila di sedie
mentre gli altri guardano
una trasmissione
che dovrebbe fare ridere
io mi ritrovo
a farmi schiaffeggiare dal vento
e a pensare che a volte,
senza un motivo apparente,
mi manca toccarti
e forse pure parlarti
anche se, ormai,
non avrei niente da dirti
ma la mancanza
diventa abitudine
col tempo
poco o tanto
è solo relatività del dolore
di quello che c’è
di quello che rimane
che più ci pensi e più
sembra non passare
c’era quella frase
che ci descriveva bene:
potevamo essere rivoluzione
invece, siamo solo un altro
stupido luogo comune

Io vorrei che tu, che tu avessi qualcosa da dire, che parlassi di più, che provassi una volta a reagire, ribellandoti a quell’eterno incanto per vederti lottare contro chi ti vuole così, innocente e banale donna *

Mare, solitudine e malinconia. Un bel miscuglio per un racconto, mentre in sottofondo una canzone non fa che alimentare tutto. Posso essere molto più bravo di così, se voglio. Ma ho capito molte cose. Ho capito che è veramente difficile, se non impossibile, superare le abitudini, rinunciare a tutta una serie di consuetudini e ricominciare con delle altre nuove. Loro ti vogliono così e tu non puoi deluderli. Non più. Sono stato un personaggio scomodo nella tua vita e lo sono ancora. Nonostante tutto o malgrado tutto. Le famiglie che fanno sodalizi ancora prima dei figli, instaurando rapporti duraturi e confidenziali, come si può dare una scossa a tutto questo, rompendo gli equilibri, solo per un capriccio? Solo per una stronzata che molti chiamano amore, quasi sempre sconveniente? Non puoi, quindi silenziosamente ti appresti a seguire passo a passo il corso “naturale” che tutto questo comporta. Senza obiezioni. Senza esitazioni. Se non quelle avute in quelle notti clandestine a fare finta di vivere un’altra vita. A fare finta di scrivere un’altra storia. Dimenticare tutto, almeno su quel letto. In quell’intrecciarsi di corpi, sorrisi e, infine, lacrime. Calde e profonde. E poi silenzio, fino a non sentirne più il rumore. Fino a quando non farà più male.

* … e poi mi parli di una vita insieme – Vasco Rossi

davanti ad un distributore automatico di fiori dell’aeroporto di Bruxelles, anch’io chiuso in una bolla di vetro *

e invece di fare il nostro gioco
finiamo sempre in cunicolo
a scivolare a fondo
ad andare indietro
a prendere il peggio
panem et circenses
e tutto il resto
non ha più importanza
basta qualche culo
e qualche risata finta
per non pensare più
al dramma che ci circonda
il mondo si sbriciola
sotto i nostri piedi
e l’unica cosa
a cui riusciamo a pensare
è il denaro
l’apparire che supera l’essenza
quasi senza vergogna
nessun pudore
ad ogni costo
l’ostentazione
gli oggetti che hanno più rilevanza
dell’essere umano stesso
e se non mi vedi in televisione
io non esisto
e non ho nessuna voce in capitolo
nella guerra degli standard
vince chi riesce a colpire alla pancia
non sappiamo più costruire una ruota
ma non possiamo vivere senza
il tripudio dell’ignoranza
e chi potrebbe fare la differenza
per non essere emarginato
si adegua di conseguenza
e allora cosa vogliamo insegnare ai nostri figli
se ancora noi stessi non abbiamo
imparato nulla del passato,
dalla storia che ci ha preceduto?
cosa vogliamo dire
se non abbiamo nulla da obiettare
se ci siamo arresi al mondo per convenzione
e forse pure per convenienza
facendoci distrarre senza opporre resistenza
adagiati sui cuscini della finta opulenza
di un presente a debito
che non sapevamo di non poterci permettere
e, soprattutto, pagandone ogni conseguenza
quale autorità, quale dignità, possiamo avere
se non abbiamo fatto nessuna rivoluzione?
se abbiamo subito tutto
come se fosse l’unico percorso normale?
l’unica strada possibile da seguire
e se qualcuno ha qualcosa da dire
siete pregati di parlare
o di non dire nulla
fino all’estinzione

* Davanti ad un distributore automatico di fiori dell’aeroporto di Bruxelles, anch’io chiuso in una bolla di vetro – Lucio Battisti